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Prova a prendermi (Usa 2002) di Steven Spielberg con Leonardo Di Caprio, Tom Hanks,Christopher Walken, Martin Sheen, Nathalie Baye

Uno Spielberg minore si è detto. Leggero e spumeggiante, disimpegnato e agile (anche sotto l’aspetto produttivo), Prova a prendermi è stato visto come una specie di vacanza dopo le cupezze fantascientifiche e i tormenti apocalittici e paranoidi di A.I. e Minority Report. Un divertissement sulle orme di Wilder e Tashlin, con una spruzzata di sophisticated comedy alla Edwards (cui alludono sia i divertenti titoli di testa, che scimmiottano brillantemente quelli de La pantera rosa, sia il soundtrack del solito John Williams impegnato a clonare, da spericolato pasticheur, le partiture swingate del suo mentore Henry Mancini) e un passo ritmico degno delle imprese scavezzacollo alla Tom & Jerry, modulato su uno spunto narrativo (nonostante sia basato sulla vera storia del più giovane ricercato d’America, tale Frank W. Abagnale) che ricorda spudoratamente Il grande impostore di Mulligan con Tony Curtis. Ma a conferire dignità a questo strano oggetto filmico, all’apparenza marginale e dimesso, basterebbero le puntuali caratterizzazioni dei protagonisti (forse il miglior DiCaprio di sempre: sbruffone e fragile, genialmente sfrontato e arcignamente malmostoso nel tratteggiare con impeccabile aderenza la figurina del seduttivo truffatore vulnerato dalla separazione dei genitori e un Tom Hanks ancora una volta sublime nella parte del poliziotto dell’FBI di grigia medietà e mesta dabbenaggine), la scelta felicissima dei ruoli di contorno (emerge su tutti la sorprendente e vulnerabile umanità di un grande Christopher Walken), la raffinata ricostruzione di un’epoca e di un milieu nei suoi aspetti iconologici (il mito di Bond, la voce di Sinatra, le Cadillac e gli slanci architettonici di Saarinen) o di costume (l’esuberanza coloristica, la contagiosa naiveté, gli imperativi della pop-culture) nonché la cadenza vivace, compatta e sempre in crescendo della parabola narratologica (a dispetto dell’impegnativa lunghezza – 140 m – è uno dei film più coesi e robusti del regista americano).

Ma quello che fa di Prova a prendermi un’opera di riguardo nella filmografia di Spielberg sono a parer nostro la freschezza d’ispirazione (molti spunti della vicenda del giovane con-man, a cominciare dal trauma del divorzio e il disagio di una giovinezza apolide ed erratica sono mutuati dalla biografia del regista), la destrezza dello stile compositivo (con una regia che rinuncia agli svolazzi virtuosistici per servire l’ariosità del racconto), la snellezza di tocco (che ricorda addirittura gli esordi di Sugarland Express) e una disponibilità prettamente autoriale nel giustapporre alle scoppiettanti volute picaresche digressioni chiaroscurali e improvvise aperture melanconiche. Nonostante sottolineature un po’ didascaliche e qualche caduta parenetica Prova a prendermi rappresenta quel qualcosa di travolgente (anche e soprattutto in senso demmiano) che lascia intravedere nuovi registri e inedite tonalità nella già eclettica tastiera espressiva dell’autore di E.T. e Schindler’s List.

(Marco Rambaldi)

 

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