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Il
pianista (Francia / Germania
/ Polonia/ Gran Bretagna 2002) di Roman Polanski con Adrien Brody, Thomas
Kretschmann, Emilia Fox, Frank Finlay
Vincitore
della Palma dOro a Cannes 2002, Il pianista
è tratto dalla biografia di Wladislaw Szpilman, un musicista
ebreo polacco, unico sopravvissuto alla deportazione dal ghetto di Varsavia
nel terribile anno del 1942.
Ad interpretarlo è un efficacissimo Adrien Brody il quale,
con lintensa espressione del suo asimmetrico volto, ci trasporta
in un viaggio di sofferenza che è fatto di fame, sete, solitudine,
frustrazione, terrore per una morte che si annida in tutti gli angoli
della città, dolore per la perdita dei propri cari e della propria
dignità. Il film appare diverso dai molti girati sulla Shoah,
perché lo sterminio, di cui si parla, si focalizza sulla vita del
protagonista che, nonostante la disperazione, riesce sempre a mantenere
un flebile contatto con la vita. La forza della musica, in particolare,
consente alla sua esistenza di non andare completamente in pezzi. Una
forza che si sprigiona quando, sia pur allo stremo delle forze, Szpilman
suona il Notturno di Chopin di fronte ad un ufficiale
tedesco, nemico/salvatore. Quelle mani, che fino ad allora avevano solo
potuto immaginare di suonare con la forza della fantasia, alla fine spingono
dolorosamente sui tasti del piano, trasportandoci in una atmosfera struggente
ed intensa. Come intense e toccanti, dure da sostenere, sono altre scene
del film: quella della violenza ingiustificata, della disperata quanto
inutile ribellione del ghetto, ma soprattutto quella di una Varsavia rasa
al suolo. La sequenza, realizzata con lausilio del computer, lascia
davvero senza fiato.
Certo, gran parte della riuscita della pellicola è dovuta anche
al forte coinvolgimento di Polanski, ebreo di Cracovia,
unico sopravvissuto della sua famiglia, insieme con il padre, alla deportazione
tedesca. Allo stesso tempo, Brody, costretto a sperimentare sulla
propria pelle la disperazione di giorni trascorsi al digiuno ed in uno
stato di totale isolamento, riesce in modo magistrale a rendere il percorso
emotivo di Szpilman, che lo spettatore segue in apnea per due ore.
(Francesca
Zofra)
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