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La nobildonna
e il duca (Francia 2001) di Eric Rohmer,
con Lucy Russell, Jean-Claude Dreyfus, François Marthouret, Léonard
Cobiant, Caroline Morin, Alain Libolt
I detrattori di Rohmer, per sottolineare quanto i film del maestro francese siano, secondo
loro, noiosi, amano citare una battuta pronunciata da Gene Hackman in
Bersaglio di notte (Arthur Penn 1975): "Una
volta ho visto un suo film: è stato come sedersi e guardare una
mano di pittura mentre si asciuga".
Questa volta la pittura è asciutta già dal primo fotogramma
e, in forma digitale, fa da sfondo agli esterni, allo
scopo, ottenuto, di evocare la paesaggistica dell'epoca.
La nobildonna e il duca è un film in digitale, ma,
a differenza degli arroganti ed inconcludenti «esperimenti»
di Mike Figgis o di Giuseppe Bertolucci, si ferma a ripensare,
in funzione del «nuovo mezzo», il linguaggio cinematografico
partendo dalle basi. Così il rigore della macchina fissa, la doviziosa
ricostruzione storica e l'estrema coerenza interna danno vita, pittosto
che ad un videoclip amatoriale che parla di se stesso, ad un'opera che
ha il sapore ed il fascino di un Powell & Pressburger (si vedano
le scenografie di Narciso Nero ) e che è in grado
di parlare dell'uomo e del mondo.
Accusato di essere reazionario e filomonarchico solo perché racconta
il terrore a Parigi dopo la Rivoluzione, in realtà il film, creatura
di un regista ottantunenne, dipinge una galleria di figure umani viscide
e repellenti, nobili o popolane che siano (Jean-Claude
Dreyfus dà vita ad un Orléans al limite del grottesco) e,
in sintesi, non mostra alcuna pietà nei confronti del genere umano
tutto.
(G.F.)
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