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Minority Report (Usa 2002) di Steven Spielberg con Tom Cruise, Colin Farrell, Samantha Morton, Max von Sydow, Lois Smith, Peter Stormare, Tim Blake Nelson

Nel portare sullo schermo le avventure del detective John Anderton - un Tom Cruise a mezza strada fra l’acrobata ribaldo di Mission: Impossible e l’innocente braccato che si da alla fuga come in Intrigo internazionale e Il fuggitivo - Spielberg affastella innumerevoli moduli retorico-visivi con poco corpo proprio. Dal racconto di Philip K. Dick mutua la trovata, risolta eminentemente sul piano narrativo, del Pre-crime e dei Precogs, corteggia Gilliam nelle tonalità più grottescamente schizoidi e nelle eterotopie aberranti della distopia futuribile rinunciando però alla lucidità pamphlettistica del modello; dal palinsesto spionistico hitchcockiano recupera solo parenteticamente i plessi linguistici e le formulazioni prossemiche (ma John Williams fa bene il verso a Herrmann); a tratti s’ispira a Chandler nei garbugli cervellotici del plot e nella deriva esistenziale della detection (il passato tormentoso del protagonista); adombra Lang e Metropolis nella morfologia bipolare della città del futuro (disegnata con elegante stilizzazione e corposo dettaglio da Alex McDowell) fra slum fatiscenti e opulenza retrò, diluisce l’immaginario orwelliano nella sua variante di dittatura merceologica, e infine richiama il noir anni ’40 nel tratteggio di certi caratteristi e nella cura dei particolari ambientali senza ricalcarne le atmosfere ambigue e chiaroscurali. In buona sostanza il procedimento d’accumulazione metalinguistica, paradigma strutturale della filmografia spielberghiana, è più faticoso del solito e le giunture sintagmatiche fra le macrosequenze - nonostante l’omogeneità plastica della messinscena esaltata dalle suggestive scelte cromatiche di Kaminski - sono visibili più del dovuto. La pregnanza di alcune trovate visionarie, l’abile costruzione dei climax, la sbalorditiva padronanza delle procedure filmiche, il solido impianto ritmico non salvano il film dal sospetto di accademia e dalla parvenza di anemico esercizio stilistico. Centone di situazioni e stilemi eminentemente derivativi (soprattutto nel prevedibile dénouement che sclerotizza le ambizioni del racconto e lo fa collassare in un greve prodotto di genere) la pellicola manca di vivacità mitopoietica e di grazia sincretistica, altrove dispiegate da Spielberg con eccellenti risultati. L’impressione è che Minority Report sia una fuga strategica nell’anonimo, per quanto alto, artigianato dopo la scarsa fortuna dell’ambizioso lirismo di A.I.

(Marco Rambaldi)

 

John Anderton/Tom Cruise

Spielberg e Cruise

Minority Report

Cruise e Samantha Morton

 

 

 

 

 

 

 

 

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