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Manderlay (Danimarca/Svezia/Olanda/ Germania/Francia/Usa 2005) di Lars Von Trier con Bryce Dallas Howard, Isaach De Bankolé, Danny Glover, Willem Dafoe, Lauren Bacall

Che ci piaccia o no, che susciti in noi ammirazione o repulsione, Lars Von Trier ci ha abituato ad una sorpresa ogni volta che si mette al lavoro ed ogni volta che un suo film approda nelle sale. Stavolta apparentemente sfrutta l'onda lunga di Dogville: un nuovo capitolo della trilogia sull'America (il prossimo sarà Wasington, e non è un refuso) messo in scena in un set brechtianamente "topografico" con i perimetri degli edifici e degli spazi disegnati col gesso in terra e qualche oggetto di scena (un letto matrimoniale, una scala a chiocciola, un albero, una cancellata, un tavolo e delle sedie, una finestra). La provocazione formale, quindi, non ha (e non potrebbe averlo) lo stesso impatto del primo film per cui gli unici cambiamenti finiscono con l'essere quelli del cast (Bryce Dallas Howard, figlia di Ron, nel ruolo di Grace e Willem Dafoe in quello del padre di lei, mentre Lauren Bacall interpreta fulmineamente un ruolo diverso da quello del precedente episodio). Ed anche il plot parrebbe didascalico come mai nel regista danese (il tema del razzismo sembra trattato in maniera banale) e come non lo è neanche in quella sorta di spin-off che è Dear Wendy. Parrebbe. E nell'epilogo che Lars dimostra di essere il solito geniaccio cui piace mescolare le carte della convenzionalità. Resta valido il discorso a proposito dello stile ripetuto, ma concettualmente Manderlay è un bel pugno nello stomaco dei luoghi comuni.

(Rosario Gallone)

 

Isaach De Bankolé

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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