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Lady Henderson presenta (Gb 2005) di Stephen Frears con Judi Dench, Bob Hoskins, Will Young, Kelly Reilly

La Londra del 1937 divide ghigni ed angosce, equamente, tra l’orgia di pettegolezzi per l’abdicazione di Edoardo – il primo regnante nato sotto la stella di Novella 2000 – il quale per amore fece il “gran rifiuto” e che proprio quell’anno sposerà Wallis Simpson, e l’escalation sempre più drammatica della violenza nazi-fascista in Europa (i bombardamenti di Guernica, per esempio, sono scempio giusto di quell’anno). Antinomie pericolose se il pettegolezzo sa far più morti del fucile, come dice il motto, e forse è vero, se la Londra del 1937 – non ancora la landa oltraggiata per la prima volta dalle bombe nemiche durante la Seconda Guerra Mondiale, ed impavidamente difesa dal torace paterno di Giorgio VI, – è ancora la valle ideale nella quale una certa pruderie di maniera trovava in un buon tuono ipocrita ed anacronisticamente vittoriano la forma consona e costumata del comune senso del pudore.
E’ in questa Londra, attraversata da figurini esanimi e da burocrati stizziti, che la signora Henderson – ricca e quasi settantenne dama della buona società che, dopo la morte del figlio nella Grande Guerra, ha appena perso il marito, – decide di comprare un teatro a Soho, un po’ per noia, un po’ per dispetto al senso comune, e di farne, con la complicità conflittuale di Vivian Van Damm, un esperto anziano direttore, il posto più caldo della città.
E’ così che il Windmill Theatre diventerà, prima che lo scenario di fortunati spettacoli, il teatro del rapporto ostile e a suo modo erotico, tra la Henderson e il direttore, relazione fatta di schermaglie e di astuzie (il gustoso play within the play dell’impertinente proprietaria che, per assistere, non voluta, alle prove degli spettacoli, inizierà a travestirsi come se fosse ella stessa un’attrice, in tal senso è uno dei momenti più interessanti).
Dalla sua, l’anziana signora ha esprit e un certo genio lunatico, mentre il Van Damm l’esperienza: è sua l’idea di smuovere il paludato mondo dello spettacolo londinese proponendo un Revue-de-ville, rivista senza interruzioni che, dopo uno straordinario successo di pubblico diventerà la formula più copiata anche dagli altri cartelloni cittadini. Ma il colpo di genio è della signora che introduce la vera novità: ragazze nude sul palco.
E’ a quel punto che la censura esige il suo dazio ed è ancora solo l’arguzia della Henderson ad aggirare il problema: grazie alla sua disarmante dialettica, gli spettacoli del Windmill ottengono il visto, a patto che le ragazze in scena non si muovano mai formando, coi loro corpi sinuosi, dei tableau vivant ad imitazione delle arti figurative.
E’ qui che si capisce dove vada a parare il film sottolineando come sia l’imitazione, nell’epoca dei mass media (e, ancor più, dei nostri new media globalizzati), l’unica cifra dell’estetica (e dell’etica) universale. Paradossale? Eppure, il più lucido dei paradossi, qui, è la constatazione che, nell’epoca della dinamicità e della velocità – miti fondanti del Novecento, – la rutilante rivoluzione dell’intrattenimento popolare, in quel mirabile 1937, passasse non per il serrato montaggio della sempre più conscia linguistica del cinematografo; non per le epiche coreografiche à la Leni Riefensthal, e nemmeno per le sconvolgenti forme delle arti visive coeve, quanto per la conturbante staticità di tableau vivant. Insomma, ora come allora, può più la tetta che la Tate.
Ma, fuori del trattatello sociologico, gli show del Windmill hanno una clamorosa eco di pubblico soprattutto presso i militari impegnati in quei giorni al fronte. Ma, a dispetto del successo, quando i cieli della capitale dell’Impero saranno solcati dai V2 tedeschi, il governo minaccia di far chiudere il teatro cosa cui corrisponderà l’ultimo e definitivo colpo di teatro della combattiva Lady Henderson.
Tratto da una storia vera, il film è un interessante connubio tra l’ortodossia del musical e la devianza di una commedia sentimentale anomala. Riuscito soprattutto perché, dopo qualche anno di appannamento, il cinema di Frears torna così ad occuparsi di ciò che più di ogni altra cosa sembra, nei suoi momenti migliori, animarlo: il tentativo di cogliere le sfumature e le devianze della natura affatto anomala e perversa dei rapporti tra uomini. Diversità (My Beautiful Laundrette), singolarità (Alta fedeltà), perversione (Le relazioni pericolose; Mary Reilly), cifre definitive nella poetica frearsiana, di tutte le relazioni, sempre, per definizione, pericolose.

(Corrado Morra)

 

manifesto italiano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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