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K19 (Usa 2002) di Kathryn Bigelow con Harrison Ford, Liam Neeson, Peter Sarsgaard, Sam Spruell

Patria, dovere, sacrificio, lealtà. Valori retorici che spesso ci fanno gridare al delitto di stomachevole americanismo. Tutto vero, ma qui si parla di Russi, Russi che nel 1961, in piena guerra fredda, rischiarono la vita (e 27 la persero) per salvare il mondo dalla terza guerra mondiale (è un fatto realmente accaduto), a causa del duello Usa-Urss, di una politica economica e di un'economia politica che se ne fregavano di dotare un sommergibile termonucleare di quanto necessario per evitare l'innesco dei missili, perché ciò che contava era tenersi a bada reciprocamente. Che in un momento storico in cui il nemico è invisibile (o, perlomeno, è quello indicato da Bush jr. per i suoi interessi) ed in cui le due superpotenze si ritrovano alleate sul fronte della lotta ad un terrorismo sempre più incazzato e spietato, sirimpianga lo scontro tattico-diplomatico (e la pellicola trasuda nostalgia) è più che normale. Fortunatamente il cinema non è il calcio dove l'eccesso di tattica è la negazione dello spettacolo, e fortunatamente dietro la m.d.p. c'è la "regista con le palle" Bigelow che si muove bene anche in un claustrofilm come questo, riuscendo dove hanno fallito, di recente, John McTiernan (Caccia a Ottobre rosso), Tony Scott (Allarme rosso) e Jonathan Mostow (U-571): mantenere la suspense alta per tutta la durata del film, fatti salvi i mosci venti minuti finali. K-19 è un intenso war-movie dove il nemico è interno (le macchine, l'ammutinamento, la disperazione, la viltà). Molti hanno rimproverato all'ex signora Cameron di aver accettato un lavoro su commissione. Beh! lavorassero tutti così su commissione!

(Rosario Gallone)



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