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Hannibal (Usa 2000) di Ridley Scott, con Antony Hopkins, Julianne Moore, Giancarlo Giannini, Ray Liotta, Francesca Neri, Enrico Lo Verso, Ivano Marescotti.

Come le guide turistiche che hanno poco tempo per far vedere tutte le bellezze di un luogo al gruppo pingue degli americani in vacanza-tutto compreso, Ridley Scott in Hannibal mostra (e confonde) insieme Medioevo demoniaco e geometrie rinascimentali, scomposto e soffocante Barocco e pulizia romanica. Il "bignami" delle vacanze culturali in Italia, insomma, quello che al colore locale mischia il ketch up del franchising del polpettificio di turno che si fregia come anfitrione e cicerone della figura ingrassata del dottor Leckter (a dispetto della location sarà la dieta storicamente poco mediterranea del nostro). Il petit tour comprende citazioni da Dante Alighieri fino a Joe Dante, attraverso un plot in debito d'ossigeno e d'intelligenza e solo direttamente proporzionale agli assegni che l'editore ha elargito a Thomas Harris per la nuova puntata sul colto cannibale.
E il film, ad un incipit tutto sommato ispirato (la sgranatura della macchina digitale sui piccioni, gli esseri più infami del creato che solo l'aberrazione umana vuole innocui ornamento dell'agorà splendida del Rinascimento italiano e che loro, per vendetta, sozzano), fa seguire una confortante sequenza, certo una di quelle che Michael Mann ha già fatto prima e meglio, di epica della sparatoria urbana che qualche speranza di non morire di noia pure la infonde. Ma il film, purtroppo non finisce lì. E il sole (non certo astro ispiratore) picchia a picco e Scott, da tour operator esperto deve dire una parola su tutto, ben lungi da approfondire qualcosa.
E' così che il mostro di Firenze si intreccia all'acre odore del porcile (ma per favore! la metafora del maiale in salsa antiborghese, dopo Pasolini, non è più il caso di tirarla fuori!); l'inefficacia del sistema informatico della FBI (Giancarlo Giannini, commisario fiorentino, disonesto come ogni italiano sa esserlo agl occhi dello straniero, sarà capace di entrare dal sito web dell'Intelligence statunitense, per accedere ai files segreti in modo più facile di un qualsiasi collegamento al portale Msn.com) all'ambigua sessualità di Hannibal su cui Scott decide di gettare luce (ma è patetico il rapporto morboso della vittima con la faccia maciullata e l'attaccamento feticista alle reliquie del dottore cannibale).
Hannibal è tutto quello che un film non dovrebbe essere: né struttura consolatoria e codificata (si stenta ad individuare il "nemico", ad esempio, e l'accanimento antropofago del finale sul funzionario dell'FBI corrotto non è giustificato da nessun climax di cattiveria), né palese attentato al codice.
Miracolo di inconcludenza che poteva riuscire solo a Ridley Scott, cui spetta il vanto di aver avuto il tardivo e unico director's cut (Blade Runner) migliaia di chilometri più brutto dell'edizione imposta dalla produzione.
Si consiglia vivamente a Scott di abbandonare le cronache ibero-italiche che lo impantanano, da un po', ad un cinema senza idee (l'epopea genovese e portoghese di 1492, l'imbarazzante revenge dell'ispanico Gladiatore ed ultimo le vacanze del cannibale). Abbiamo capito che, alla base, c'è l'idea che gli Imperi (le società) si fondano e si sgretolano per fattori endogeni, per le varianti impazzite (Blade Runner) degli eroi comuni uguali/diversi, ma, senza regia, i film diventano mostri più pericolosi degli psicopatici antropofagi. Insomma, la prossima mano da tagliare, si rischia che sia quella proprio di Ridley Scott. E poi vediamo se smette.


(C.M.)





 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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