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Fahrenheit 9/11 (Usa 2004) di Michael Moore


Probabilmente lo sguardo di Moore, questa volta, era troppo coinvolto nell'imminente agone elettorale americano per poterci restituire un affresco altrettanto lucido e autorevole dell'America oggi, così come era accaduto nello straordinario Bowling for Columbine.
Diciamo che alcune sequenze di Fahrenheit possono essere ascritte di diritto alla grande storia del cinema (il lunghissimo indugiare della camera sul trastullarsi ebete di Bush in una scuola americana del profondo sud subito dopo l'annuncio dell'attacco alle torri).
La verità è che ci sono film su cui è difficile abbandonarsi in esercizi critici. Perché... perché sono film che non vedi ma che vivi con la partecipazione e il tifo con cui si assiste a una partita di calcio. E al film di Moore si tifa. Si tifa per quelle migliaia di elettori afro-americani privati del loro diritto di voto alle elezioni del 2000. Si tifa per la madre straziata, a cui una guerra balorda ha strappato il figlio laggiù in Iraq. Si tifa pure per quei milioni di americani che la retorica vetero-fascista della minaccia perenne ha trasformato in zombi senza giudizio. E ti viene voglia di prendere in prestito le parole di Nanni Moretti e urlare a ciascuno di loro: "Girati, girati! Guarda che ti stanno facendo". Poi semmai pensi che quelli si girano per davvero e ti accorgi che imbracciano un Winchester e la voglia ti passa subito. Alla fine si tifa anche per Al Gore, come se la sua elezione avesse potuto far sparire per incanto gli interessi delle multinazionali, del petrolio e del grande capitale. Ma si sa, nelle partite non conta il giudizio. E francamente, se di fronte c'hai tipi come Dabliu Bush, Cheney e Condie Rice, 'sto giudizio non hai manco voglia di avercelo. E' come alle partite. E' come Juventus - Virtus Vollese e la tua squadra non è quella con le magliette a strisce.

(Giulio Arcopinto)

 

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