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Dogville

(Danimarca/Svezia 2003) di Lars von Trier, con Nicole Kidman, Lauren Bacall, Paul Bettany, Ben Gazzara

Grace (Nicole Kidman) è una nuova Madre Coraggio. Senza figli, se non la consideriamo - come, invece, siamo alla fine costretti a fare - madre-Medea putativa di tutti gli abitanti di Dogville, immaginario villaggio sperduto tra i cocci appuntiti delle americanissime Montagne Rocciose. Ma Dogville, più che un posto da cani qual pur è, è in von Trier centro nevralgico del moderno dove la crisi sta nello scontro tra il cinismo degli uomini e il tentativo di ripresa, da parte della giovane Grace, del Cinismo dei filosofi. Dogville è un mondo-palcoscenico, nero infinito rotto soltanto dalle sagome disegnate della sua toponomastica. Un mondo epico, come l'avrebbe inteso Brecht, eppure è il posto più vero che c'è poiché l'unica verità e l'unico sentimento dell'uomo è il livore dell'egoismo, e l'unica percezione possibile è pur sempre il dolore.
La storia: inseguita da un gruppo di gangster, Grace arriva nella sperduta cittadina di Dogville. La piccola comunità, incoraggiata da Tom Edison (Paul Bettany), giovane aspirante scrittore, autonominatosi portavoce della città, e non prima di un fulminante innamoramento verso la bella fuggiasca che, alla fine saprà della vana prolessi epicurea, acconsente di tenerla nascosta. In cambio lei accetterà di lavorare per gli abitanti del paesino. All'inizio piccoli lavori domestici, segni di riconoscenza e di cortesia che diventeranno presto il muto acconsentire di chi è costretto, come lo è Grace, a cedere al ricatto, cui puntualmente gli abitanti di Dogville la costringeranno.
Infatti, quando i suoi inseguitori cominceranno a cercarla in città, gli abitanti domanderanno - vittime dell'imperio vero delle società democratiche, lo scambio merceologico come grammatica dei sentimenti - qualcosa di più in cambio del rischio della loro protezione. Ma il libero mercato vuole sempre di più. Fino a quando la posta, il prezzo del silenzio sarà troppo alto. Inizia la violenza: prima psicologica, poi sul corpo di Grace. L'unica dialettica possibile, a quel punto, sarà nel sopruso se non già nello stupro vero e proprio.
Se la rassicurante voice over, nel cipiglio accademica (nell'edizione originale il narratore ha la grana di John Hurt, in quella italiana, il piglio fonetico più impostato che si possa immaginare nella voce indovinatissima di Giorgio Albertazzi) finge l'equidistanza di una focalizzazione neutra, se non addirittura il calore del racconto morale intorno al focolare, lo scontro vero cui ci costringe il meccanismo d'immedesimazione sarà tra la prassi (Grace) e il pensiero astratto (Tom). Tutto si risolverà nel sangue, come merita la tragedia, e quando tutto sarà compiuto, sullo sfondo del nero pece della quinta teatrale ora spettralemte vuota, l'apologia del perdono troverà il tempo di diventare l'impossibile "apology" per tutto quello che abbiamo inflitto all'ostia, alla fine a noi tutti terribilmente ostile.
La Young Americans di David Bowie, sulla quale i titoli di coda scorrono, rimarca, infine, come Dogville pretenda di essere letto, finanche con un'oncia d'ironia, come sguardo impietoso e finale della vecchia ed utopica Europa sul pragmatismo violento e mercificatorio degli Stati Uniti d'America.
Ed allora anche i 40 minuti in meno che l'edizione italiana ha tagliato (unico paese al mondo ad arrivare a tanto) diventano una violenza sul corpo-film portatrice di senso, come lo strupro e il livido lo sono sul corpo infinitamente immacolato di Grace, se è vero che l'unico modo di "essere nel mondo" che il disperato Dogville ci suggerisce pare essere nell'offesa fisica, quando non nella mutilazione. Ma Dogville funziona anche così. Anzi, proprio perché martoriato, si impone, non ancora giunti a metà, già film del decennio.

(Corrado Morra)


James Caan

Nicole Kidman e Ben Gazzarra

 

 

 

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