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La città incantata (Giappone 2001) di Hayao Miyazaki

Strano paese l’Italia. Da un lato aumenta considerevolmente la moltitudine di fans dei manga, come attesta il moltiplicarsi di fumetterie e siti specializzati; dall’altro ogni uscita, al cinema, di un capolavoro anime viene accompagnato dall’indifferenza totale. Certo La principessa Mononoke (dello stesso Miyazaki) e Metropolis di Tarô Rin di sono stati distribuiti a fine giugno. Ragion per cui, non è stato sufficiente l’Orso d’oro vinto a Berlino nel 2002 (ex aequo con Bloody Sunday) per vedere nelle nostre sale La città incantata, ma è stato necessario l’Oscar 2003 come miglior film d’animazione. L’avventura di Chihiro è un po’ quella di Alice, anche se il paese delle meraviglie qui è fortemente connotato dalle visioni postatomiche dell’Impero del Sole. Rospi in giacca e cravatta, gli onnipresenti, nell’opera di Miyazaki, maiali (lui stesso si raffigura con fattezze suine, per non parlare di una delle sue più osannate creazioni: Porco Rosso), bambini giganti, ombre affamate, popolano un mondo in cui il confine tra bene e male è sottile e ambiguo (Senza Volto è buono, ma non disdegna di ingurgitare gli abitanti che cadono nella sua trappola; Haku è ambizioso e, forse, doppiogiochista) e la ricerca della propria identità passa per la riappropriazione materiale del nome. La piccola protagonista dispenserà lezioni a tutti ed il bildungsroman si capovolge a favore di una dichiarazione esplicita della superiorità dell’infanzia sulla disillusa, distratta e vorace età adulta.

(Rosario Gallone)

manifesto originale

Chihiro e Senza Volto

Chihiro

 

 

 

 

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