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Il castello errante di Howl (Giappone 2004) di Hayao Miyazaki

C'è voluto un Leone d'Oro alla carriera ad Hayao Miyazaki (evento possibile al festival di Venezia, unicamente perché diretto da Marco Müller) per far distribuire nelle sale l'ultima fatica del maestro (e qui il termine non viene usato a sproposito) Miyazaki. Lo scarso successo nelle sale dimostra ancora una volta che l'autore di Porco Rosso è artista dalla poetica troppo complessa per piacere ad un pubblico che, quasi sempre, ma soprattutto di fronte all'animazione chiede semplificazione. Come al solito in Miyazaki nulla è come sembra: Sophie è giovane e viene trasformata in vecchia dalla strega delle lande desolate (che, poi, si scopre aver perso i suoi poteri); Howl è un mago in preda ad un demone che, però, cerca di combattere una guerra insensata (ed il senso, la ragione, infatti, viene taciuta perché, forse, irrilevante) scatenata dalla sua insegnante che ha trasformato l'erede al trono in spaventapasseri; lo stesso castello nel suo essere errante coniuga la relatività del tempo anche allo spazio. E non si sa mai dove si va a finire. Da un romenzo inglese di fine ottocento (di Diana Wynn Jones) il celebrato Miyazaki trae un visionario poema animato sull'immortalità dell'amore che travalica tutte le barriere (di nuovo: temporali e geografiche) ed è più forte di ogni male, di ogni guerra, di ogni stupida vanità (la madre di Sophie) umana.

(Rosario Gallone)

 

Sophie

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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