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Cacciatore
di teste (Belgio/Francia/Spagna
2005) di Costa-Gravas con José Garcia, Karin Viard, Olivier Gourmet
Bruno è un apprezzato dirigente di un’industria
cartiera. Ma le leggi della globalizzazione sono inappellabili e Bruno viene licenziato in seguito a una delocalizzazione. Passano tre anni
e Bruno non ha ancora trovato un nuovo lavoro. Stare fuori dal gioco
tanto tempo rende la mente lucida. Le regole del gioco ti si presentano
davanti con una semplicità addirittura banale. E così basta
interpretare semplicemente conseguenzialmente le dinamiche di potere
che governano il mercato del lavoro, Bruno si mette a eliminare fisicamente
i suoi potenziali concorrenti, trasformandosi da tranquillo padre di
famiglia in mobilità in un efficientissimo serial killer.
Costa-Gavras torna ancora una volta di più su un tema a lui familiare:
l’umanità umiliata di fronte all’appetito impersonale
del potere. Ma questa volta, se possibile, porta ancor di più al
parossismo il proprio disincanto, fornendoci un quadro di ironia gelida
in cui siamo sempre in bilico tra il ridere disperanti e lo sprofondare
disperati. Il fatto è che con Bruno ci immedesimiamo. Bruno, come
noi, crede di aver capito le regole, crede di avere il controllo. Ma
dell’umanità, di cui lui è il campione, non restano
che brandelli patinati messi in vendita sui cartelloni pubblicitari (appositamente
realizzati da Oliviero Toscani) che affollano le inquadrature del film.
E non è casuale che la perfetta maschera d’attore di Josè Garcia ricordi molto da vicino il Jack
Lemmon ne Il prigioniero della seconda
strada. La rappresentazione è talmente da incubo che ci si può perfino
divertire a citare.
(Giulio
Arcopinto) |
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